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Caleidocicli musicali. Simmetrie
infrante dei suoni, Milano,
Rugginenti, 2005
Recensione
di Carmine Emanuele Cella
in "Musica theorica Spectrum", 15/51,
settembre 2006,
pp.38-39
Non
è facile, senza scadere in semplicistiche catalogazioni, riuscire ad
identificare i diversi approcci alla creazione musicale adottati dai compositori
nel corso dell'evoluzione storica della musica.
Taluni, indubbiamente, hanno scritto musica usando semplicemente ciò che
si potrebbe definire istinto o magari creatività. Altri,
piuttosto, hanno mediato e diretto la propria creatività attraverso uno strano
mostro intellettuale chiamato, genericamente, tecnica. Spesso, ancora,
altri hanno finto di creare la propria musica basandosi solo
sull'istinto, utilizzando però in segreto (se è concessa la
perifrasi) una tecnica. Vero è che il connubio creatività/tecnica accompagna
la creazione musicale praticamente sin dagli inizi della disciplina; non sarà
inutile ricordare la Tabula Mirifica di Kircher o le vertiginose tecniche
contrappuntistiche di Ockeghem o, ancora, le mirabolanti macchine per il
contrappunto quadruplo probabilmente usate dallo stesso Bach (sebbene non vi
siano prove certe in tal senso). Non sarà inutile ricordare, infine, le
articolate tecniche mensurali adottate da Ligeti per la gestione dei suoi
accordi in continua trasformazione o le complesse funzioni analitiche adottate
dallo stesso per la gestione del ritmo (in L'Escalier du diable ad
esempio). Ogni compositore, nel momento in cui ha scritto musica, si è dovuto
confrontare con una tecnica (nel senso più generale possibile): la tonalità,
la dodecafonia o più complessi e svariati sistemi combinatori seriali. La
tecnica, in questi casi, ha assunto il ruolo di sistema precompositivo,
ovvero di territorio franco entro cui inquadrare la creatività musicale. Un
recinto di regole con cui confrontarsi e probabilmente da infrangere.
In tutti questi casi, allora, la tecnica è diventata numero; la
creazione musicale, in ultima istanza, può essere pensata come un articolato
sistema numerico. Un sistema algebrico, ad esempio, in cui gli elementi
utilizzabili sono i numeri interi compresi tra zero e undici: dodici simboli in
grado di rappresentare i semitoni della scala temperata. Già dagli anni
cinquanta del secolo scorso diversi teorici/compositori hanno tentato di
formalizzare la struttura delle altezze musicali attraverso procedure algebriche
ed insiemistiche: fra i primi vi è stato senza dubbio Milton Babbitt autore,
tra l’altro, di tre importanti articoli in cui si evidenziano alcune proprietà
dei dodici suoni, invarianze, come determinanti della composizione.
Contributi altrettanto fondamentali
inoltre sono stati dati, solo per citarne alcuni, da Donald Martino, Allen
Forte, George Perle, Robert Morris, per arrivare fino alle teorie
trasformazionali di David Lewin o a quelle geometriche di Guerino Mazzola.
È proprio in questa feconda tradizione che è possibile collocare l'originale
testo di Luigi Verdi, compositore e teorico già noto ai lettori italiani (e non
solo) grazie all'ormai classico Organizzazione delle altezze nello spazio
temperato.
Verdi si propone, questa volta, come ideatore di una complessa tecnica di
gestione delle altezze basata su figure geometriche costruite sui dodici vertici
di un ideale dodecagono (inteso come rappresentazione grafica della scala
cromatica), e usate per controllare trasformazioni di gruppi di suoni secondo cicli
predeterminati. Sebbene altri tentativi legati alla ciclicità (ovvero
alla periodicità) siano stati descritti da compositori come Xenakis (teoria dei
setacci), Perle, Schat (tone clock) o Vieru (teoria modale), la trattazione di
Verdi mostra da subito la sua originalità anche grazie all'uso di un
particolare grafismo (inteso tuttavia non come mero diletto visivo bensì
come vero e proprio strumento pratico per la computazione) che si esprime
mediante rappresentazioni grafiche, tabelle e disegni a colori.
Nel primo capitolo del libro, vengono forniti gli elementi fondamentali della
teoria: viene infatti mostrato come rappresentare sul dodecagono un qualunque
insieme di note e come trasformarlo secondo moduli semplici o complessi
(trasposizioni consecutive mediante intervalli differenti) fino a fargli
completare il proprio periodo (fino a quando cioè l'insieme di note
torna alla sua configurazione iniziale). Nei due capitoli
successivi Verdi propone la parte più originale del suo testo,
descrivendo i caleidocicli musicali, ossia i cicli di trasposizioni a cui
vengono 'applicati' gli accordi intesi come insiemi di note. Il caleidociclo,
allora, manifesta la sua vera natura, un insieme di insiemi di cui Verdi
conosce tutte le proprietà: configurazioni possibili, rapporti tra moduli e
accordi applicati, note in comune tra un accordo e le sue trasposizioni
(proprietà questa, indagata anche da Skrjabin nelle sue ultime opere).
Ma non è ancora finita: nel quarto capitolo, significativamente intitolato Comporre
con i caleidocicli, Verdi si inoltra nel terreno del design compositivo
(nel senso di Morris) e giunge a mostrare la capacità creativa delle proprie macchine.
Molti sono, infatti, gli esempi musicali tratti da lavori dello stesso autore
(non si dimentichi che egli è compositore prima che teorico) in cui si
esplicitano le più interessanti proprietà dei caleidocicli, come, ad esempio,
quelle legate a varie forme di canoni: inversi, doppi. tripli, complementari o
ritmici; in questa prospettiva Luigi Verdi, bolognese per formazione musicale,
sembra collocarsi idealmente come erede della scuola musicale bolognese di Padre
G. Battista Martini che, storico della musica, teorico e compositore, fu anche
uno dei più prolifici autori di
canoni della storia della musica.
Nell'aspetto tecnico-compositivo si riscontra la cifra più caratteristica del
lavoro di Verdi: egli affronta il suo tema non dal punto di vista dell'analisi
ma, coraggiosamente, da quello della composizione. Uno sforzo notevole,
di cui oggi si sente in generale troppo spesso la mancanza.
Il libro termina, infine, con un utile catalogo di alcuni
possibili caleidocicli e un' appendice con varie tabelle delle proprietà
degli esacordi, presentate secondo originali grafici denominati 'a scacchiera'.
Il libro e inoltre corredato da tre notevoli contributi critici di Renzo Cresti,
Giovanni Guanti e Moreno Andreatta.
In un complesso periodo come quello presente, in cui la sfiducia verso la
composizione e la musica del nostro tempo è pressoché totale, contributi come
quello di Verdi assumono un valore inestimabile. L'onestà intellettuale che
egli mostra spiegando i propri lavori e permettendo di coglierne i processi
interni appare mirabile e degna di rispetto; un atteggiamento che potrà essere
di stimolo a tanti giovani compositori e potrà forse ridare fiducia in un'arte,
la musica, importante per l'uomo come l'aria stessa.
Carmine
Emanuele Cella
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