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Recensione di Moreno Andreatta, in Analisi, XII, 34, 1/2001, pp.28-31 È grande la tentazione di iniziare la recensione dello splendido studio di Luigi Verdi con gli stessi toni elogiativi usati dal teorico americano John Rahn a proposito di un testo di David Lewin (1987), "libro importante […] in parte per gli argomenti trattati ed in parte per il modo di trattarli" (Rahn, 1987; p. 305). Ma è forse maggiore il desiderio di accettare la sfida che l'autore lancia nella prefazione, dove mette in guardia il lettore sulla necessità di considerare "le informazioni contenute in questo libro […] dal loro punto di vista puramente quantitativo" e lo invita a cercare altrove le "possibili implicazioni qualitative" (p. 5). Eppure, come cercheremo di mostrare passando in rassegna a grandi linee i principali argomenti trattati e soffermandoci in particolare su alcune questioni teoriche più delicate, è sufficiente adottare un punto di vista differente per evidenziare il carattere qualitativo di gran parte dei problemi affrontati nel testo. L'oggetto centrale dello studio di Verdi è il problema dell'organizzazione delle altezze nello spazio sonoro temperato. La scelta dello spazio temperato come particolare sistema sonoro di riferimento, per riprendere un concetto che spesso ricorre in trattati di teoria musicale (1), è un passo necessario per una definizione rigorosa di oggetti musicali elementari (altezze ed intervalli), prime generalizzazioni (classi di altezze e classi di intervalli) e relazioni (trasposizioni, inversioni, permutazioni, riduzioni, equivalenze, simmetrie trasposizionali) che attraverso la nozione matematica di insieme permettono di comprendere le principali elaborazioni teoriche della cosiddetta "Scuola analitica americana" (forma primaria di un insieme, funzione e vettore intervallari...). Ad una presentazione sistematica di questi concetti è dedicato il capitolo iniziale ("Teoria generale") che affianca alle ricerche di numerosi teorici statunitensi (da Babbitt a Rahn passando per Lewin, Hanson, Martino, Perle, Forte, Howe...) i contributi di studiosi e compositori dell'Europa centrale e dell'Est (Busoni, Hauer, Hindemith, Krenek, Messiaen...). L'elenco delle proposizioni teoriche significative prosegue idealmente nel quarto capitolo ("Cenni storici") che evidenzia nuovamente i punti di contatto fra la scuola analitica americana ed una tradizione, quella "continentale", che affronta in generale i problemi teorici della musica in modo meno sistematico, dimostrando spesso una certa predilezione per gli aspetti più esoterici. E il caso, ad esempio, della teoria dei tropi di Hauer (p. 174), la cui componente neopitagorica si ritrova nel sistema teorico di Simbriger (p. 177), o della teoria degli échelonnements di Costère (p. 179); ma l'elenco delle proposizioni teoriche basate su predilezioni numerologiche di tipo neopitagorico non può necessariamente essere esaustivo (2). Le principali costruzioni teoriche prese in esame nel primo capitolo conducono progressivamente il lettore alla definizione centrale di "vettore intervallare", termine adottato da Hanson sin dagli anni '50 (p.76) ed al quale è giusto affiancare, come propone Verdi, strumenti concettuali che ne rappresentano gli ideali antesignani, quali la finzione e il contenuto intervallare (p. 73). Ad alcuni semplici risultati riguardo il contenuto intervallare (teorema delle note comuni, p. 74; teorema esacordale, p. 82) l'autore fa seguire un elenco delle principali proprietà del vettore intervallare (pp. 78-81), riuscendo pienamente nell'intento di mostrare come esso sia effettivamente un mezzo estremamente pratico ed efficace per analizzare la costruzione interna di una combinazione" (p.78). Il secondo capitolo ("Lineamenti di tecnica combinatoria") completa il quadro dei riferimenti teorici necessari per affrontare il problema centrale della classificazione di strutture accordali. Grazie alla relazione di inclusione è possibile ricavare una prima informazione sul numero di sottoinsiemi di cardinalità m (aventi, cioè, m elementi) contenuti in un insieme di cardinalità n (dove n assume il valore 12 nel caso dello spazio temperato usuale). La tavola riassuntiva che se ne può dedurre (p. 36 e p. 87) mette in evidenza una proprietà di simmetria dello spazio temperato. Su un totale di 212=4096 sottoinsiemi del totale cromatico (inclusi i casi limite dell'insieme vuoto e dell'insieme totale), il numero di accordi di m suoni è uguale al numero di sottoinsiemi contenenti 12-m elementi. Ad esempio per m=5 si ottiene come risultato che il numero di pentacordi possibili è uguale al numero di eptacordi. Questa considerazione di carattere generale permette di limitare il problema della classificazione degli accordi allo studio di cardinalità comprese fra i e 6 (o, equivalentemente, fra 6 ed 11) senza perdita di generalità, come si dice in matematica (3). Tale proprietà di simmetria formale si mantiene introducendo delle relazioni di equivalenza che determinano una riduzione progressiva del numero di "accordi" strutturalmente differenti della scala cromatica. Una prima drastica riduzione del numero di sottoinsiemi teoricamente possibili si ottiene introducendo il concetto di equivalenza per trasposizione (p. 38). Due sottoinsiemi A e B dello spazio sonoro temperato sono equivalenti per trasposizione (e rappresentano, di fatto, lo stesso accordo) se uno è l'immagine dell'altro tramite una trasposizione, ovvero se esiste una trasposizione Tn di n semitoni tale che B sia uguale a Tn(A) (4). Si noti che A è sempre il trasposto di se stesso (riflessività). Inoltre se B è il trasposto di A tramite Tn, necessariamente A sarà il trasposto B di tramite Tm, ove m=12-n (proprietà simmetrica). Una terza proprietà (transitività) si ottiene considerando tre accordi A, B, C dove B è il trasposto di A e C è il trasposto di B. Se ne deduce che C è il trasposto di A. La nozione musicale di trasposizione definisce quindi, effettivamente, una relazione di equivalenza in senso matematico, concetto che l'autore avrebbe forse dovuto cercare di mettere meglio in evidenza (p.38). Si ottengono, in questo modo, le 352 classi di equivalenza (strutture accordali equivalenti per trasposizione) che sono state oggetto di numerose elaborazioni teoriche, spesso indipendenti, come si può constatare dalla ricca collezione di proposte terminologiche raccolte e commentate dall'autore (p.46). Il compositore e teorico americano Milton Babbitt è stato, senza dubbio, fra i primi ad applicare alla musica la relazione matematica di congruenza (Babbitt, 1960), base necessaria per affrontare il problema della classificazione di strutture equivalenti per trasposizione e/o inversione. Nel caso dell'equivalenza per trasposizione la struttura interna di un accordo, inteso come sottoinsieme della famiglia di "interi di classe di altezza" (p.16), è preservata, motivo per il quale è possibile identificare ogni combinazione accordale con un'unica struttura intervallare, una conclusione a cui erano giunti, indipendentemente, teorici dell'Europa dell'Est meno noti, come il polacco M. Zalewski e il rumeno A. Vieru (5). Il lettore può divertirsi a seguire alcuni fra i più noti criteri di classificazione di insiemi accordali discussi nei primi quattro capitoli e ripresi nelle utilissime tavole riassuntive del quinto capitolo ("Classificazione degli insiemi"). È interessante sottolineare il fatto che lo stesso problema può essere affrontato attraverso un approccio complementare a quello numerico combinatorio descritto dall'autore. L'operazione di "addizione modulo 12" (p.16) definisce sugli "interi di classe d'altezza" alcune importanti proprietà che il lettore può facilmente verificare. Innanzitutto essa rende l'insieme degli interi di classe di altezza un insieme "algebricamente chiuso", ossia esso contiene la somma (modulo 12) di due qualsiasi dei suoi elementi (6). Vi è un solo elemento (lo 0) che sommato ad un altro intero di classe d'altezza lo lascia inalterato (elemento neutro). In corrispondenza di ogni intero di classe d'altezza esiste inoltre un unico intero che sommato al precedente restituisce l'elemento neutro (elemento inverso). Infine, dati tre qualsiasi elementi è equivalente sommare il terzo alla somma dei primi due o il primo alla somma del secondo e del terzo (proprietà associativa). Queste quattro proprietà definiscono sull'insieme degli interi di classe di altezza una struttura algebrica di gruppo. Più in generale, ogni divisione dell'ottava musicale in un numero n di parti uguali (ossia ogni spazio sonoro temperato) induce sull'insieme degli interi di classe d'altezza corrispondenti una struttura di gruppo. Si noti che la struttura di gruppo, che non trova spazio nella teoria originaria di Forte, è invece fondamentale nella generalizzazione della Set Theory da parte di D. Lewin (1987). Essa è comunque già presente nei primi lavori teorici di M. Babbitt (1960) oltre che nelle numerose riflessioni teorico/compositive, spesso contemporanee, di I. Xenakis (1965). La stessa teoria di G. Mazzola, che Verdi dimostra di seguire con attenzione considerandola "un tentativo di sintesi fra i più interessanti, per il rigore matematico con cui è affrontata la ricerca" (p.204), utilizza come spazio-ambiente per le 88 classi accordali del sistema temperato classico, la struttura algebrica di modulo (7). Ritornando alle principali proprietà matematico/musicali prese in considerazione da Verdi, notiamo che alcune di queste si prestano naturalmente ad un'indagine algebrica. Fra queste vi sono sicuramente la trasponibilità limitata (p.41), la partizione trasposizionale (p.119), la simmetria per inversione e per complementarità (p.64 e p.81) e la reversibiità (p.66 e p.83). Ad una dettagliata presentazione del concetto di "simmetria trasposizionale" da un punto di vista teorico, analitico e compositivo è dedicato l'intero sesto capitolo ("Le scale simmetriche nella musica del XX secolo"). La precisa ricostruzione storica di Verdi sottolinea la centralità del problema di divisione dell'ottava in parti uguali per numerosi teorici della musica e compositori del XX secolo (Alaleona, Slonimskij, Lendvai, Zalewski, Schillinger, Messiaen, Haba, Wischnegradsky, Frazzi, Dallapiccola, Strawinsky, Skrjabin, Bartók...). Come osservato nel primo capitolo, la simmetria trasposizionale esprime il fatto che "alcune combinazioni hanno la proprietà di presentarsi uguali all'originale ad un livello di trasposizione inferiore a 12" (p.41). Si tratta dei cosiddetti "modi a trasposizione limitata" di Messiaen, teorico e compositore che fra i primi ha cercato di generalizzarne lo studio e l'impiego compositivo. Siamo d'accordo con Verdi sul carattere lacunoso e spesso poco rigoroso di molte proposizioni teoriche del compositore, ma occorre accompagnare le critiche dell'autore con una serie di ulteriori precisazioni. Innanzitutto il termine "modo a trasposizione limitata" ci sembra tutt'altro che improprio, come invece suggerisce Verdi (p.41), visto che esso esprime la proprietà di un oggetto musicale M ben definito (modo) di soddisfare l'equazione M=Tn(M) per un valore n limitato (ovvero diverso dal caso triviale rappresentato dallo 0 o da multipli interi di 12). Ricordiamo che una delle possibili rappresentazioni geometriche dell'insieme degli interi di classe d'altezza è, come bene osserva Verdi, quella di "un dodecagono [regolare] inscritto all'interno di un cerchio, i dodici vertici del quale corrispondono alle diverse classi di altezze" (p.22). Le trasposizioni equivalgono, geometricamente, a rotazioni mentre le inversioni corrispondono a delle riflessioni speculari rispetto ad un diametro del cerchio opportunamente scelto. In questa rappresentazione circolare, i modi a trasposizione limitata corrispondono a tutte le figure geometriche che, ruotate di un certo angolo (diverso da 360 e suoi multipli), si sovrappongono a se stesse. Esse non sono necessariamente poligoni "regolari inscritti in un dodecagono" (p.44), come peraltro mostra chiaramente la terza figura dell'esempio 1.27 della stessa pagina. È vero che Messiaen "enumera solo 7 modi a trasposizione limitata" (p.41) ma asserire, come fa Verdi, che essi sono in realtà 16 significa rendere problematico il concetto stesso di "modo". In altre parole, il bicordo corrispondente all'intervallo di tritono, ad esempio, non poteva rientrare, concettualmente, nella definizione di modo data da Messiaen. Fa più che altro sorridere la sicurezza con la quale il compositore afferma, come ci informa Verdi, che è "matematicamente impossibile di trovarne degli altri [modi a trasposizione limitata] almeno nel nostro sistema temperato a 12 semitoni" (p.269). Tanto più che alcuni fra i modi a trasposizione limitata non presi in considerazione da Messiaen (ad esempio quelli corrispondenti agli insiemi 86 e 87 nella classificazione di Mazzola) possiedono interessanti proprietà algebriche (Mazzola, 1990; p. 142) e non sono stati ancora esplorati appieno dal punto di vista compositivo. Ad una classificazione esaustiva di tutte le strutture accordali a trasposizione limitata era inoltre giunto, sin dall'inizio degli anni '80, il matematico rumeno D. T. Vuza attraverso un approccio algebrico che ha il merito di non limitare lo studio al caso della divisione dell'ottava in 12 parti uguali. Partendo dalla cosiddetta "teoria modale" del compositore A. Vieru (1980), la proprietà di simmetria trasposizionale viene generalizzata, in maniera estremamente naturale, ai cosiddetti sistemi microtonali, dei quali è possibile evidenziare le proprietà strutturali in modo più sistematico rispetto a quanto proposto da teorici come A. Haba e I. Wischnegradsky (p.271). Occorre precisare che non necessariamente "le possibilità di formare modi a trasposizione limitata aumentano […] nei sistemi microtonali" (p. 271). Come controesempio è sufficiente considerare tutti i sistemi microintervallari corrispondenti a divisioni dell'ottava in un numero primo di parti, alcuni dei quali costituiscono tuttora oggetto di interesse per teorici e compositori (si pensi al sistema enneadecafonico, che divide cioè l'ottava in 19 parti uguali, o al sistema microtonale corrispondente alla divisione dell'ottava in 31 parti uguali). Non è difficile rendersi conto che in questi casi non esiste alcun insieme di classi di altezze aventi simmetria trasposizionale. Notiamo inoltre che sono molti i problemi teorici ancora aperti legati a questo concetto apparentemente semplice, come ci si può rendere conto cercando di trasporre il concetto di simmetria trasposizionale nel dominio del ritmo musicale. Questo problema offre elementi di riflessione da integrare al terzo capitolo ("Alcune applicazioni compositive") (8) e ci avvicina al contenuto del settimo e ultimo capitolo ("La reversibilità del tempo musicale"), in particolare per ciò che riguarda la tecnica di retrogradazione ritmica (p.340). Si tratta, come fa notare Verdi, di un problema estremamente delicato per un'arte, quale la musica, che "vive nel tempo e [nella quale] la simmetria speculare del tempo appartiene ad una dimensione difficilmente percepibile dalla mente umana" (p.343). In questa prospettiva è inevitabile il riferimento ai cosiddetti ritmi non retrogradabili di Messiaen (p.340), che si caratterizzano per essere successioni palindrome di durate, tali cioè da restare inalterate in seguito ad un'inversione dell'asse temporale. Anche in questo caso non è possibile accettare acriticamente le affermazioni teoriche di Messiaen, soprattutto per quanto riguarda l'esistenza di una perfetta analogia fra i ritmi non retrogradabili ed i modi a trasposizione limitata (Messiaen, 1944) (9). Per poter leggere, a livello ritmico, proprietà strutturali analoghe a quelle considerate nell'organizzazione verticale dei suoni è necessario costruire un appropriato modello algebrico del ritmo musicale. Questo è quanto è stato fatto a più riprese da D. T. Vuza (Vuza, 1988; 1991) che è giunto ad una formalizzazione rigorosa del concetto di "canone ritmico", punto di partenza per uno studio sistematico delle proprietà strutturali di questa forma musicale. L'interesse plurisecolare dei compositori per le tecniche alla base del canone musicale è legato indubbiamente ai "significati occulti ed esoterici di derivazione pitagorica" (p. 324) che tale tecnica riusciva a richiamare, appunto perché basata su procedimenti di tipo numerico. E se è vero che si deve alla Seconda Scuola di Vienna la riscoperta - e l'utilizzo agli inizi del XX secolo - di tecniche canoniche circondate spesso di un'aura mistica ed esoterica, è indubbio che la tecnica di retrogradazione ritmica ha potuto essere integrata pienamente come procedimento compositivo proprio grazie a Messiaen. A lui si deve infatti l'introduzione e l'impiego sistematico di forme canoniche nelle quali l'imitazione fra le parti differenti riguarda esclusivamente valori ritmici, indipendentemente da altri parametri quali la melodia e l'armonia. All'interno di questo nuovo impianto teorico, e grazie alla formalizzazione rigorosa datane da Vuza, una proprietà come la trasponibilità limitata si rivela tutt'altro che banale, soprattutto se studiata nei rapporti che la legano ad altre proprietà algebriche come la "partizione trasposizionale", discussa a più riprese da Verdi (p.119; p. 137; p.206). Essa è, fra l'altro, alla base di una classe particolare di canoni ritmici in grado di ricoprire completamente, attraverso una pulsazione regolare, lo spazio sonoro, senza intersezioni fra voci differenti né buchi. Tali strutture canoniche prendono il nome di "canoni regolari complementari di categoria massimale" (Vuza, 1991) e rappresentano un felice esempio di lettura musicale di alcune proprietà geometriche a cui Verdi fa più volte accenno. Si tratta della divisione regolare del piano, problema matematico che ha avuto nell'opera del grafico olandese M. C. Escher una fra le più celebri applicazioni artistiche (p. 37). La famiglia dei canoni ritmici formalizzati da Vuza costituisce inoltre il modello formale a cui tendono idealmente molti canoni utilizzati da Messiaen. Si pensi, ad esempio, al triplo canone su ritmi non retrogradabili che costituisce la settima parte di Harawi (Adieu) (10) e nel quale la massima complementarità fra le tre parti è strettamente legata all'idea di un "disordine ben organizzato" (Messiaen, 1992; p.46). È chiaro, a questo punto, quanto una formalizzazione precisa e rigorosa di un fenomeno musicale possa portare alla comprensione di una serie di problemi compositivi estremamente complessi, come quelli notoriamente legati alla costruzione di canoni musicali. Non possiamo non concludere questa panoramica sugli argomenti principali affrontati da Verdi, con una presa di posizione estremamente critica nei riguardi di quelle teorie pseudoscientifiche della musica che hanno spesso costituito l'unico terreno d'incontro fra musica e matematica. Molte di queste teorie sono espressamente citate da Verdi e ci risulta difficile non includere fra queste ultime anche quello che, secondo il suo autore, avrebbe dovuto essere "il primo sistema scientifico capace di oltrepassare la soglia del santuario della creazione musicale" (Schillinger, 1941; p.1063). Senza giungere a considerare totalmente inutili le teorie compositive di Josip Schillinger, perché infondate dal punto di vista fisico/matematico (Backus, 1960), ci sembra di poter ammettere che si tratta di un lavoro incapace di dare un fondamento rigoroso a problemi di teoria musicale, e questo nonostante il fatto che molti compositori (da Gershwin a Cowell) abbiano potuto trarne interessanti spunti compositivi. Ben diverso è il caso del prezioso lavoro di Verdi che presenta, in modo chiaro ed estremamente convincente, un terreno di problematiche dove convivono, in mirabile equilibrio, riflessioni teoriche, esigenze analitiche e spunti originali per possibili applicazioni compositive. La lettura che abbiamo cercato di affiancare non corregge pressoché nulla, se non qualche piccola imprecisione, di quanto discusso dall'autore. Semmai essa suggerisce possibili letture parallele di uno stesso problema e non fa quindi che confermare l'importanza cruciale dei temi affrontati nel libro e la necessità che nuove occasioni d'incontro alimentino un dialogo così felicemente avviato. Moreno Andreatta 1. Si veda, per esempio, il recente contributo teorico di L. Azzaroni (1997), recensito da Miguel A.
Roig-Francoli nel numero 30 della rivista. |
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